Il Portale barocco

del Rainaldi a Marino

 

crollato per incuria il 28 aprile del 2011

 

 

 

 

Quindi, ritornando al Portale rainaldiano, cosa si sarebbe potuto fare prima della sua "romantica" perdita, forse definitiva?

Cioè prima di realizzare l'adiacente lottizzazione a villini, oppure prima di realizzare l'adiacente nuovo cimitero comunale, oppure, prima dei sondaggi archeologici preliminari ad un'altra adiacente edificazione residenziale, i quali hanno portato alla scoperta sensazionale di una villa di epoca romana con tanto di terme private e statue marmoree superstiti?

Escludiamo subito come già detto il tirar fuori quattrini da parte degli esacerbati cittadini italici, in particolare quelli più vicini all'ex-monumento, ossia gli abitanti di Ciampino località Via delle Mura dei Francesi, Roma località Morena-Acqua Acetosa, Marino località Via dei Laghi.  Costo dell'operazione data la rispettiva popolazione residente: 100.000 - 200.000 euro da destinarsi al restauro con consolidamento statico eccetera, ottenibile con un loro modesto contributo di ca. 10 euro a cranio, senz'altro già versati dai cittadini in vario modo con le imposte dirette ed indirette, al momento tutte convogliate a pagare gli interessi sullo stratosferico debito pubblico nazionale (ca. 30.000 euro a testa, inclusi gli infanti).

 

Invece in luogo di pompare fiumi di denaro, prima del dissesto statico del Portale - cioè decenni fa' -, si sarebbe potuta appunto attuare una semplice opera di manutenzione ordinaria.  Togliere un po' di erbacce, risarcire tutti gli intonaci scorticati dal tempo, dall'incuria secolare degli uomini, e dagli agenti atmosferici causa primaria di degrado dei monumenti:  i cicli della pioggia, del gelo invernale, del sole estivo, essenzialmente.  E poi altri temibili nemici quali infiltrazioni di umidità per capillarità dal suolo, muffe, colonizzazioni di batteri, piogge acide, moderne resine sintetiche protettive una tantum anti-traspiranti, un mix letale se non si rinnova spesso la tinteggiatura che espone l'intonaco al degrado, il quale a sua volta porta il monumento all'osso statico costitutivo, sia esso muratura, che pietra, che quello che vi pare.

 

Tutto qui.  Il nocciolo del problema è che utilizzando indifferentemente costosi metodi sofisticati ancorché appropriati per tutti i monumenti, si finisce per non avere né i soldi, né il tempo burocratico per tutelarli.

 

Lo sanno bene i proprietari dei vari monumenti nazionali posti sotto tutela dalla Soprintendenza, sia quelli "maggiori" che quelli "minori", come una piccola cantina di un paesello con qualche frammento di arco antico-romano.  Se da cantina semiabbandonata la vuoi riutilizzare riportandola in vita, si apre una ferita emorragica nel tuo portafoglio e devi cominciare a munirti di santa pazienza, perchè ti aspetta il solito iter burocratico labirintico e senza una fine.  E poi mai, da quando c'è il computer, le scartoffie sono aumentate a dismisura:  una piramide di carta più alta del Monte Bianco.

 

Si aggiunga anche la cultura del restauro conservativo d'arte, o di quello archeologico, travasate ed applicata in modo indifferenziato al restauro architettonico dei monumenti, e il disastro diventa la prassi.  La psicosi nord-occidentale cristiano-protestante del "vero" e del "falso" ammorba così pure l'architettura d'epoca pre-moderna.

 

Infatti tale cultura, tutta europea, del "vero", ha portato alla pratica indiscriminata del débadigeonnage (termine francese, che un tempo perà presupponeva il successivo badigeonnage, vale a dire la ricostituzione successiva degli intonaci scorticati della superficie di sacrificio, oltre che l'imbiancatura e tinteggiatura a colore finale ), dello scorticamento, rimozione degli intonaci dei monumentio in tutta Europa a partire dal XIX Secolo in poi, per venire poi estesa sistematicamente ed esportata metodologicamente in tutto il mondo.

 

Risultato:  magnifiche architetture gotiche, barocche, architetture di ogni epoca ed ogni civiltà, barbaramente deprivate dei loro intonaci e della loro policromia, colorazione vivace, con la scusa che oramai non si potevano più ricostruire interamente secondo il loro aspetto originario.

Doveva e deve prevalere il gusto del vero, dell'autentico, psicosi importata dal falso nell'arte.  E deve prevalere tuttora il gusto per i materiali disvelati, una millantata genuinità morbosamente e ossessivamente protestante e bigotta. Invece le architetture di ogni tempo e ogni civiltà - Maya, Aztechi, Greci, Etruschi, Romani, Gotiche - erano coloratissime su una base bianca di calce con plurime funzioni (protettiva, basicizzante, antimuffa, antibatterica, volta ad esaltare e far risplendere la successiva mano di colore), come quelle dei templi sacri dell'architettura Indù che ancora oggi vengono ciclicamente manutenti in India.  Ma sai com'è?  Oggi al colore si preferisce il minimalismo mortuario nordico, tutto grigio e scialbume, vino e umorismo annacquato, olio di semi di girasole, burro di margarina, aceto di mele, formaggi tutti uguali, brodaglie.

 

 

Per fa capire ai non addetti ai lavori l'essenza del problema, ritorniamo al nostro caro estinto, il Portale delle Mura dei Francesi - ove nell'Ottocento avvenne uno storico incontro tra un membro della famiglia dei Colonna, in rappresentanza dello Stato Pontificio, e niente di meno che Napoleone Buonaparte, di qui il nome dell'ex-tenuta agricola protetta da muri edificati un tempo lungo l'attuale Via dei Laghi, a prevenzione degli incendi e dei furti di ladri di galline.

 

Sarebbe bastato molto probabilmente rintonacarlo, forse ancora solo 20 anni fa, prima del suo conclamato dissesto statico  (frattura del concio della chiave di volta, fratture plurime dei conci dei pilastri, cedimento differenziale dell'ala destra del portale, ecc.), per far sì che l'acqua piovana e le escursioni termiche caldo-freddo non ne causassero la morte. Sarebbe bastato cioè utilizzare delle tecniche pre-moderne.  Nella fattispecie a livello locale solo un po' di calce, pozzolana, inerti di varia granulometria, con additivi organici quali latte vaccino catalizzante la successiva formazione di ossalati di calcio mineralizzanti e protettivi, una semplice tinteggiatura finale con prodotti naturali semplici traspiranti e non sintetici.

 

Invece no.  Ci ammazziamo di burocrazia, cultura del vero, non abbiamo il coraggio di interpretare un bel niente, e per far tutto alla perfezione finisce che non facciamo un bel nulla.

Basterebbe stabilire una graduatoria di livello di intervento da adottarsi a seconda del monumento particolare in oggetto, per evitare tutto questo.

Non si può trattare un Portale del Rainaldi esposto alle intemperie, come se si trattasse della Gioconda di Leonardo da Vinci o della Pietà di Michelangelo Buonarroti da imbalsamare e mettere sotto una campana di vetro.  Le seconde sono opere d'arte poste in ambienti artificiali di per sè già protetti, e per giunta vanno protette dai malintenzionati.

 

Sommatoria finale di concause e filosofie massimalistiche fuori luogo: è morto un altro monumento.  Tanti altri vanno in rovina in Italia, come è accaduto alcuni anni or sono a Pompei con i terribili crolli agli scavi archeologici di Pompei, ed ancora si è ripetuto nel 2013.  Pare che a furia di salire in graduatoria, e per motivi di salute, non vi sia più un numero sufficiente di operai addetti alla manutenzione assidua dei medesimi monumenti pompeiani. Inoltre sappiamo bene che lo Stato, a corto di soldi, non assume più nuovo personale.  Trattasi della filosofia delle privatizzazioni degli enti dello Stato, spacciata come medicina a partire dalla Tacher in poi negli Anni '80, mentre invece è il male diffusosi come la peste, la quale ha portato in Italia come in tutto l'Occidente ad una mono-economia del privato, delle sole multinazionali, delle dismissioni, delle delocalizzazioni, dei licenziamenti, dell'Europa-ospizio, della fine dell'avvenire per tutto l'Occidente, ed in particolare per l'Europa, fino a 30 anni fa floridamente a sistema misto keynesiano pubblico-privato. C'erano sì gli sprechi, ma ora che quasi non ci sono più, ci possiamo accomodare nella nostra fossa collettiva, fatta di fintissimi regimi concorrenziali, quando pure gli studenti di ragioneria sanno che le grosse imprese si accordano illegamente tra loro per formare un cartello, rendendo il regime concorrenziale una favoletta buona per i telespettatori e i beoti clienti da spennare.  

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ACKNOWLEDGMENTS

Even the longest journey begins with a first step! Systemic Habitats is on line since the 18th of May 2012. This website was created to publish online my ebook "Towards a different habitat" on the contemporary architecture and urbanism. Later many other contents were added. For their direct or indirect contribution to its realisation strarting from 2012, we would like to thank: Roberto Vacca, Marco Pizzuti, Fiorenzo and Raffaella Zampieri, Antonella Todeschini, All the Amici di Marco Todeschini, Ecaterina Bagrin, Stefania Ciocchetti, Marcello Leonardi, Joseph Davidovits, Frédéric Davidovits, Rossella Sinisi, Pasquale Cascella, Carlo Cesana, Filippo Schiavetti Arcangeli, Laura Pane, Antonio Montemiglio, Patrizia Piras, Bruno Nicola Rapisarda, Ruberto Ruberti, Marco Cicconcelli, Ezio Prato, Sveva Labriola, Rosario Francalanza, Giacinto Sabellotti, All the Amici di Gigi, Ruth and Ricky Meghiddo, Natalie Edwards, Rafael Schmitd, Nicola Romano, Sergio Bianchi, Cesare Rocchi, Henri Bertand, Philippe Salgarolo, Paolo Piva detto il Pivapao, Norbert Trenkle, Antonietta Toscano, Gaetano Giuseppe Magro, Carlo Blangiforti, Mario Ludovico, Riccardo Viola, Giulio Peruzzi, Ahmed Elgazzar, Warren Teitz, and last but not least Lena Kudryavtseva.  M.L.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

 

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